domenica 28 aprile 2013

C'è grossa crisi...

Avevo in mente altro come introduzione a questa ricetta, pensavo di parlare di come la crisi economica ci stia, nostro malgrado, rendendo meno spreconi, ma quello che è successo oggi, davanti a Palazzo Chigi, mi ha come ammutolita. Ed ha innescato una serie di riflessioni che mal si attagliano ad un blog di cucina ed alla semplicità della mia penna. Per cui, mi limiterò a dire che ho raccolto l'invito di Dauly, di Cucchiaio e Pentolone a mettere insieme ricette che utilizzino materie  che, normalmente, vengono considerate scarto, in un recupero dell'avveduta parsimonia dei nostri nonni, tanto adatta all'infelicissimo momento che stiamo attraversando.

Budini di baccelli
Per 4 budini

Baccelli di piselli        700 g.
Ricotta                       100 g.
Uova                          2
Sale
Pepe
Olio                           2 tsp
Lessare i baccelli in acqua bollente , scolarli e passarli al passaverdure. Mettere il passato in una casseruola,insieme all’olio e far asciugare un po’ il composto sul fuoco. Salare,pepare e aggiungere la ricotta e le uova. Versare il composto negli stampini unti e spolverizzati di pan grattato. Cuocere in forno a bagnomaria a 180 gradi.

Per i biscottini al sesamo
Farina                             50 g.
Burro                              25 g.
Acqua                             q.b.
Sesamo                           2 tsp
Sale
Impastare velocemente tutti gli ingredienti; far riposare in frigo per almeno mezz’ora. Stenderla col matterello, ricavare dei biscottini tondi ed infornarli.

Per la vellutata
Farina                           10 g.
Olio di nocciole             10 g.
Brodo vegetale              120 ml.     
Sale      
Fare un roux con la farina e l’olio di nocciole; aggiungervi,un po’ alla volta, il brodo vegetale caldo e cuocere la vellutata per qualche minuto.
Sformare i budini, napparli con la vellutata e decorare coi biscottini



Con questa ricetta partecipo alla raccolta "Cuciniamo con le foglie" di Cucchiaio e pentolone

mercoledì 24 aprile 2013

New York parte II

Come Dio volle, in un gelido venerdì di febbraio, io ed i miei cervelli di rana in azoto liquido sbarcammo nella Grande Mela. Il Grande Capo del laboratorio dove avrei lavorato venne a prendermi al JFK e mi portò alla Rockefeller University. Per prima cosa, mi fece visitare il laboratorio e depositare i preziosi cervelli in un contenitore più grande di azoto liquido e, poi, mi mollò all' Housing Office, dove dovevano assegnarmi l'alloggio, salutandomi con un: "Ci vediamo lunedì". Sbrigate un po' di formalità, finalmente l'impiegata mi consegnò un mazzo di chiavi, la cui funzione mi illustrò con queste parole: "Questa chiave apre il portone d'ingresso, quest'altra la porta della stanza e quest'ultima è per Jim"... Jim??? CHI CAVOLO E' JIM??? Vuoi vedere che non solo mi hanno dato una stanza da condividere, ma mi tocca pure un coinquilino maschio??? A mia discolpa, devo dire che ero stanca per il viaggio, emozionata da tutte quelle novità, preoccupata di non capire abbastanza  la lingua, sottosopra per il jet lag, altrimenti credo che, se fossi stata più lucida, avrei capito che non si trattava di Jim, ma di Gym(nasium)... Si, in pratica, era la chiave della palestra... Che figura!
Una volta preso possesso della mia stanza, anche per resistere alla tentazione di mettermi a dormire alle 19, mi misi a svuotare le valigie. Tirati fuori beauty case, phon, spazzole ecc. mi diressi verso il bagno e....panico! la porta non si apriva!! Presi il famoso mazzo di chiavi, ma no, non c'era nessuna chiave che aprisse la porta del bagno. E mò?....Uscii fuori, alla ricerca di qualcuno, ma, di venerdì sera, i corridoi della Sophie Frick's Hall erano deserti. Il panico cresceva...Finalmente, mi imbattei in un uomo della security, a cui raccontai il mio dramma. E lì si svelò l'arcano: in pratica, il dormitorio era strutturato in modo che due stanze adiacenti condividessero il bagno, per cui, l'inquilina dell'altra stanza, sapendo che la stanza dove alloggiavo io era vuota, teneva perennemente chiusa dall'interno la porta che dava accesso alla stanza assegnatami...
Tutto questo solo nelle prime 4 ore di permanenza sul suolo americano...Per fortuna, non andrò sempre così, anche se equivoci, incomprensioni e discrasie culturali ci furono ancora, con esiti, tutto sommato, abbastanza esilaranti, specie se ripensati alla distanza.
E di sicuro l' MTC di questo mese, avendo come tema una ricetta così profondamente "made in USA", mi ci ha fatto ripensare. Una delle tante cose che vengono in mente, pensando agli Stati Uniti, è l'incredibile mescolanza di razze e culture, il famoso "melting pot", per cui mi è parso legittimo fare una versione del chili, che coniugasse la ricetta texana con la mia passione per la cucina indiana, in un ponte ideale, che unisce la terra degli "Indiani con le piume" con quella degli "Indiani che han fame", per citare Cochi e Renato ( e mi si perdoni la political incorrectness). E se il primo chili ci era piaciuto, questa versione ci è piaciuta mooooolto di più!!!

East-West Chili

Polpa di vitello a dadini              400 g
Cipolla                                      1/2
Olio evo                                    1 cucchiaio
Pancetta affumicata                    60 g
Chana masala                            1 cucchiaino
Pasta di peperoncino                  1/2 cucchiaino
Sale

Rosolare nell'olio la cipolla tagliata a fettine sottili e la pancetta a dadini, fino a che la cipolla si sarà disfatta. A quel punto, mettere nel tegame la carne tagliata a cubetti, aggiungere la pasta di peperoncino (preparata come spiegato da Anne) ed il chana masala. Incoperchiare  ed infornare a 120 gradi per 3 ore. Trovare il giusto bilanciamento tra quantità di peperoncino e di chana masala è stato fondamentale, perchè il rischio era quello di ottenere una miscela incendiaria. 
Come accompagnamento ho scelto un side dish tipicamente americano.

Corn oysters ( da "American Style Cooking" di Betty Crocker)

Farina autolievitante        1/2 tazza
Uovo                             1
Mais in scatola                250 g
Olio per friggere
Sale

Battere l'uovo e aggiungervi la farina, creando una pastella non molto densa. Aggiungere il mais sgocciolato e sciacquato; salare. Scaldare l'olio in una padella e farvi cadere il composto a cucchiaiate. Sgocciolare bene su carta assorbente.

Per il pane, invece, sono tornata in India ed ho fatto dei naan

Naan 
(ricetta presa da qui, sito che i miei amici indiani mi dicono essere molto affidabile)
Farina 00                          1 tazza
Lievito di birra disidratato   1/2 tsp
Sale                                  1/2 tsp
Zucchero                           1/2 tsp
Bicarbonato                       1 pizzichino
Olio evo                            1 tbs
Yogurt greco                     1 e 1/2 tbs
Acqua tiepida                    40 ml
Sciogliere il lievito di birra nell'acqua calda e lasciar riposare per 10 minuti. Setacciare la farina con il bicarbonato,lo zucchero ed il sale.  Mescolare l'olio e lo yogurt ed aggiungere alla farina. Aggiungere anche il lievito sciolto nell'acqua ed impastare. Far lievitare in una ciotola coperta per circa 3 ore. Trascorso questo tempo, dividere l'impasto in 4 pezzi uguali e stenderli, formando dei dischi sottili. Infornare a 250 gradi, preferibilmente su pietra refrattaria, per circa 4 minuti. Una volta cotti, andrebbero spennellati con del burro chiarificato, io non l'ho fatto, ma erano buoni lo stesso. Inoltre, forse, avrei dovuto stenderli un po' più sottili, ma a noi son piaciuti così, un po' "cicciottelli".
Nota: sia per i corn oysters che per i naan, io ho usato olio evo, anche se le ricette originali prevedevano altri tipi di grassi.






 Con questa ricetta partecipo all' MTC di aprile 2013


martedì 23 aprile 2013

Non riesco a resistere

Campassi altri 100 anni e, in questi 100 anni, provassi ogni giorno 2 nuove ricette , non riuscirei comunque ad esaurire tutte le ricette che ho raccolto, tra libri, riviste, forum e blog. Con queste premesse, una persona ingenua si aspetterebbe che io abbia smesso di acquistare libri e riviste di cucina. Una persona ingenua, appunto... perché, per quanto provi a frenarmi, finisco sempre col cascarci di nuovo. E' successo che, mentre ero in coda alla cassa di una libreria ( lo so che lo fanno apposta a posizionarli lì...), l'occhio mi sia caduto su un bel tomo sui finger food, che veniva offerto ai titolari della carta fedeltà a soli 3,90 euro. Un affare! Praticamente, al prezzo di una rivista, mi sarei portata a casa un librone! Insomma, manco a dirlo, l'ho preso. Per pentirmene, una volta arrivata a casa...Perché, alla fin fine, di 250 ricette, ne ho trovate interessanti giusto un paio. Una di queste riguardava delle gelatine di pera, rivestite di cioccolato fondente. Mmm... mi piace il connubio pera-cioccolato! E, allora, venerdì scorso, dovendo andare a cena da un'amica, ho pensato di portarle qualcosa di preparato da me, anziché un'anonima bottiglia di qualcosa. Già che c'ero, mi è sovvenuto che ho un bel po' di sciroppo, avanzatomi dalle amarene quarantine, preparate lo scorso giugno. E anche le amarene stanno benissimo col cioccolato, torta foresta nera docet. La conclusione è stata che quelli all'amarena son venuti buonissimi, quelli alla pera un po' meno. Non so se sia dipeso dal fatto che difficilmente riesco a trovare delle pere saporite ( e mi chiedo perché, visto che, da noi, solitamente, la frutta è ottima...), fatto sta che queste gelatine, nonostante io abbia raddoppiato la quantità di zucchero, rispetto a quella indicata nella ricetta, sapevano di poco. Dovessi rifarle, probabilmente, partirei dal succo di pera, anziché dalle pere fresche o, comunque, farei restringere un po' sul fuoco il frullato di pera, che, altrimenti, risulta troppo acquoso.

Ciocco-gelatine

Per le gelatine alle pere
Pere                            250 g
Zucchero                     60 g
Gelatina in fogli            6 g

Preparare uno sciroppo con  100 ml di acqua e lo zucchero; portare ad ebollizione. Aggiungervi i fogli di gelatina ammollati e strizzati. Frullare le pere ed aggiungere al resto. Colare in stampini di silicone a semisfera, e, una volta freddato il composto, mettere in freezer per un paio d'ore




Per le gelatine all'amarena
Sciroppo amarene        150 g
Gelatina in fogli            4 g

Per la copertura
Cioccolato fondente    200 + 50 g

Riscaldare lo sciroppo di amarene e sciogliervi la gelatina ammollata  e strizzata. Colare negli stampini a semi sfera. Una volta raffreddati, congelare per un paio d'ore.
Ho temperato il cioccolato, sciogliendo a bagnomaria i primi 200 g e, poi, quando è arrivato a 45 gradi, levandolo dal calore e aggiungendo gli altri 50 g, continuando sempre a girare, finché la temperatura è scesa a 28 gradi. A quel punto, l'ho rimesso nel bagnomaria e l'ho portato a 31 gradi, che è la temperatura di utilizzo. Ho sformato le gelatine congelate e, con l'aiuto di una forchetta, le ho velocemente immerse nel cioccolato fuso, in modo da rivestirle. Ho fatto sgocciolare l'eccesso di cioccolato ed ho messo le ciocco-gelatine ad asciugare su carta forno. 


giovedì 18 aprile 2013

Fuori moda


Lo so, le patate viola hanno avuto il loro momento d'oro qualche anno fa. In quel periodo, erano tutti alla ricerca delle patate "magiche", "pusher" improvvisati le spacciavano in giro per l'Italia e la nota di colore apportata dai tuberi insoliti conferiva un tocco esotico anche a preparazioni tradizionalissime,  come gli gnocchi. Io arrivo, quindi, con molto ritardo. Potrei tirarmela, dicendo che non mi piace fare quello che fanno tutti, che ho preferito che la moda passasse, prima di utilizzare le patate vitellotte, ma la verità è che, a Napoli, non le ho mai viste. Ho approfittato, però, della mia recente incursione a Milano per portarmene a casa un chiletto. Con una parte ho fatto degli gnocchi, che, al momento, giacciono in freezer, in attesa che io decida come condirli e col resto ho fatto questi gattoncini. Va da sé che avrei potuto farli anche con delle patate normali, ma il contrasto cromatico mi piaceva troppo. E, poi, il viola è il mio colore preferito...

Gattò ai gamberi su crema di carciofi

Patate                     400 g
Gamberi                 6 o 9, dipende dalla grandezza
Albume                  1
Carciofi                  2
Burro                     40 g
Olio evo                1 cucchiaio + 1/2
Pan grattato           1       "
Aglio                     1/2 spicchio
Sale

Lessare le patate in acqua fredda e, una volta cotte, schiacciarle ancora calde col passapatate; raccogliere il purè in una terrina, unire burro e sale ed amalgamare il tutto. Ungere 3 stampini e spolverizzarli col pangrattato. Mettere un po' di purè di patate in ogni stampino e, col dorso di un cucchiaio bagnato, creare un'infossatura, nella quale andranno messi i gamberi sgusciati e crudi. Riempire gli stampini col resto del purè e spolverizzare con pangrattato. Irrorare con un filo d'olio ed infornare a 160 gradi per 15 minuti.
Mondare i carciofi e tagliarli a fettine sottili. Rosolare l'aglio nel cucchiaio d'olio e cuocervi i carciofi. Una volta cotti, eliminare l'aglio e frullare i carciofi col minipimer. Disporre a specchio nei piatti la crema di carciofi e adagiarvi i gattoncini.



lunedì 15 aprile 2013

New York e le rane

Per chi fa il mio lavoro, un periodo presso un laboratorio straniero è una tappa quasi obbligata, non solo perché "fa curriculum", ma soprattutto perché vedere come lavorano in altre realtà è un'esperienza che apre la mente ed arricchisce. E talvolta deprime, specie al momento di rientrare in Italia, ma questo è un altro discorso... 
La mia personale esperienza si è svolta presso la Rockefeller University, a New York. Ripensare alla determinazione con cui ho perseguito quell'obiettivo mi serve a caricarmi nei momenti in cui mi sento un'inutile incapace. Si, perché   trovare il finanziamento, un laboratorio che mi ospitasse e far digerire al neo-marito l'idea di restare da solo per diversi mesi, sia pure ripartiti nell'arco di due anni, non fu affatto semplice. Un ulteriore problema fu rappresentato dal materiale, oggetto del mio studio, che avevo bisogno di portarmi dietro. Avreste dovuto vedere le facce degli impiegati delle varie compagnie aeree, quando io entravo e, col sorriso sulle labbra, esordivo: "Salve, io dovrei andare a NY, portando con me dei cervelli di rana in azoto liquido". Qualcuno cadeva dalla sedia, qualcun altro, più coriaceo, riusciva ad esalare un: "Perché mai?? Non ci sono rane in America??" "Ovvio che ci sono, ma non sono della specie che interessa a me!" Appena rientravano in sé, però, mi dicevano che non era possibile, credo più per lavarsene le mani che perché sapessero effettivamente che non era possibile. Finché approdai negli uffici della  defunta PanAm, dove accettarono di mandare me e i miei cervelli congelati negli USA.
Furono mesi esaltanti, dal punto di vista professionale, ma mi sentivo un po' sola. Non c'era assolutamente la facilità di comunicazione che c'è oggi: niente skype, niente messenger (R.I.P...), niente mails...giusto una telefonata alla settimana con mio marito e l'attesa di qualche lettera dagli amici. Insomma, avevo un po' di nostalgia di casa, nonostante New York, negli anni '80, fosse viva e pulsante come non mai. Ma non era facile, per me, avere una vita sociale. Le persone con cui avevo un po' legato- tutti stranieri come me- erano anche tutti singles e, uscendo con loro, finiva sempre che dovevo difendermi da qualcuno che ci provava, per cui, per evitare di trovarmi in certe situazioni, spesso, preferivo stare da sola. E, come se non bastasse, NON POTEVO CUCINARE!! E si, perché alloggiavo nel campus e questo significava avere a disposizione solo una stanza con un bagno, ma niente cucina. E poiché la mia borsa di studio solo eccezionalmente mi consentiva di mangiare in posti che non fossero la cafeteria della Rockefeller o un Coffee Shop, la mia esperienza della cucina americana fu abbastanza limitata. Due piatti, però, ricordo come una rivelazione: le ribs ed il chili. Ed ecco che arriviamo all' MTC di questo mese, che ha riportato alla memoria i ricordi del mio "periodo niuiorchese" e mi ha fornito il pretesto per preparare un piatto che non facevo da tanto e, per di più, grazie ad Anne, in una versione molto più "filologicamente corretta" di quella che preparavo in passato.

Chili con fagioli neri

Spuntature di maiale                      500 g
Cipolla                                           1/2
Semi di cumino                             1 cucchiaino
Peperoncini                                    4
Olio evo                                        1 cucchiaio
Patatine novelle                             200 g
Fagioli neri                                    150 g

La sera prima, ho messo a bagno in acqua fredda i fagioli. Il giorno dopo, li ho lessati con uno spicchio d'aglio. Intanto che cuocevano, ho messo i peperoncini in infusione con poca acqua calda per due ore; trascorso questo tempo, li ho frullati, ottenendo una specie di pasta. In un tegame dal fondo spesso ho fatto rosolare nell'olio evo la cipolla tagliata a fettine ed i semi di cumino. Quando la cipolla è apparsa quasi sfatta, ho aggiunto le spuntature di maiale, le ho fatte rosolare un po', ho aggiunto un cucchiaino scarso di pasta di peperoncino (il quantitativo può variare, a seconda del gradi di piccantezza del peperoncino), le patatine novelle ben spazzolate per rimuovere lo sporco esterno ed ho incoperchiato ed infornato a 120 gradi, per 3 ore. Questa cottura prolungata a bassa temperatura ha conferito alla carne una morbidezza eccezionale, senza disfarla. Al momento di servire, ho messo nel piatto la carne, le patate ed i fagioli sgocciolati e conditi con un filo d'olio evo.




Ho accompagnato il tutto con delle simil-piadine

Simil-piadine

Farina ai 3 cereali Loconte           75 g
Farina 00                                       25 g
Olio evo                                        1/2 cucchiaio
Lievito per torte salate                 1/2 cucchiaino
Sale

Ho impastato rapidamente tutti gli ingredienti, aggiungendo un po' d'acqua, fino ad ottenere un impasto sodo, ma morbido. Ho diviso l'impasto in 3 palline, le ho stese col matterello e le ho cotte in un padellino antiaderente, precedentemente scaldato.





lunedì 8 aprile 2013

Voglia di sole

Date le mie radici ischitane, l'Isola Verde è stata la meta obbligata delle mie vacanze per tanti anni, al punto che la prima volta che son stata a Capri avevo già 24 anni. Lo so, sembra paradossale: la gente viene da tutto il mondo per vedere quell'isola meravigliosa ed io, che ce l'ho di fronte, non ci sono mai stata, se non da adulta. Certo Capri, pur con tutta la sua bellezza mozzafiato, non mi assomiglia: tra orde di turisti intruppati e VIP (o sedicenti tali) arroccati tra ville e yachts, non saprei trovare una collocazione.  Per tutti questi motivi, ho scoperto tardi l'esistenza di questi ravioli, ma, da allora, li ho apprezzati tantissimo. In particolare, amo  l'impasto esterno, perché si fa in due minuti e, soprattutto, si stende con grande facilità (e, per una negata del matterello come la sottoscritta, non è poco...). Come se non bastasse, non hanno la tendenza ad asciugarsi e creparsi dei ravioli fatti con la pasta all'uovo. Con lo stesso impasto, inoltre, si possono fare anche degli gnocchi velocissimi. Insomma, tanti pregi e grande versatilità.
E così, ieri, complice un po' di sole che finalmente è apparso, risvegliando una voglia di mare sopita dall'inverno, ho portato un assaggio di Capri a casa mia.

Ravioli capresi

Farina 00        250 g
Acqua            250 g
Olio  evo        1 cucchiaio

Portare ad ebollizione l'acqua con l'olio e, a quel punto, versare la farina tutta d'un colpo, spegnere e girare, formando una palla omogenea. Io ho usato il Bimby, ma anche a mano si fa molto semplicemente. A questo punto, si stende la pasta col matterello e si ritagliano i ravioli. Consiglio di tenere la parte di pasta che non si sta lavorando avvolta nella pellicola. Con questa dose, mi son venuti 38 ravioli 6x6 cm. Lessarli rapidamente in acqua salata, finché salgono a galla.
Per il ripieno, ci va un formaggio primo sale/caciottina fresca. Io me lo son fatto in casa, scaldando a 37 gradi 500 ml di latte intero e 150 ml di panna fresca; a quel punto, ho aggiunto due cucchiaini di caglio ed ho aspettato che si formasse la cagliata. Dopo, ho aggiunto del sale, rotto la cagliata con vari tagli e l' ho messa a sgocciolare tutta la notte in frigo in un colapasta, rivestito da una stamina.
Li conditi con un semplice sughetto fatto coi pomodorini del piennolo ed una grattata di ricotta salata. (I pomodori della foto non sono quelli del piennolo, i quali non sono esteticamente molto presentabili, ma sono pomodori acquistati appositamente per fare le foto...)



giovedì 4 aprile 2013

La panificatrice frustrata

Fare il pane mi piace tantissimo, mi piace proprio la sensazione delle "mani in pasta", mi piace osservare l'impasto che lievita, mi piace l'odore che si spande per casa. Di fatto, però, a parte in estate, panifico di rado, perché il pane con lievito naturale, cotto a legna del pusher sotto casa è imbattibile. Per questo motivo, mi butto sui pani "strani", ogni volta che ne scopro uno. Quando ho letto qui di questi panini, mi sono immediatamente entusiasmata e, senza por tempo in mezzo, li ho rifatti. Buoni, buoni e quella crosticina croccante, in contrasto con la morbidezza dell'interno, è deliziosa.

Dutch Bread

Per i panini

Lievito di birra secco (attivo) Pan degli Angeli        1/2 bustina
Acqua tiepida                                                             60 ml
Latte tiepido                                                               240 ml
Zucchero                                                                    30 g
Olio evo                                                                     30 ml
Sale                                                                           10 g
Farina 00                                                                   460 g

Topping 

Lievito di birra secco (attivo) Pan degli Angeli       1/4 bustina
Acqua tiepida                                                            120 ml
Zucchero                                                                   15 g
Olio evo                                                                    15 ml
Sale                                                                           2,5 g
Farina di riso                                                            120 g

Mettere nella ciotola della planetaria l'acqua, il latte, il lievito e lo zucchero e lasciar riposare per 5 minuti. Trascorso questo tempo, dovrebbero comparire delle bollicine. Usando il gancio K, aggiungere 200 g di farina e l'olio, versato a filo. Impastare e, dopo qualche minuto, aggiungere la restante farina ed il sale. Togliere la K e mettere il gancio; impastare ancora, finché l'impasto è ben incordato. A questo punto, come consiglia Caris, ho dato un paio di giri di pieghe all'impasto e l'ho messo a lievitare in una ciotola unta d'olio e sigillata con la pellicola. Far lievitare fino al raddoppio. A questo punto, dividere l'impasto in parti da circa 60 g. Formare dei panini tondi e farli lievitare nuovamente per una quarantina di minuti. In una ciotolina, preparare il topping, mescolando prima acqua, zucchero e lievito e, dopo 5 minuti, aggiungere olio, farina e sale. Si deve ottenere una specie di pastella densa che andrà spalmata sui panini, prima di infornarli a 200 gradi, per 25-30 minuti.  Per il topping, ho indicato dosi dimezzate, perché, usando i quantitativi riportati da Caris, a me ne è avanzato parecchio.